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Un abbraccio negro

Articoli - 8 settembre 2013
Agosto 2013. Nove giovani e un frate. Fratel Alberto Degan, missionario comboniano. Tre aerei da prendere per fare il giro del mondo e un paese, l'Ecuador, pronto ad accoglierci.
Ed è cosi che dopo alcuni anni di cammino con la famiglia comboniana e il GIM (Giovani Impegno Missionario) concludiamo o proseguiamo il nostro cammino dicendo SI a fratel Alberto quando ci propone questo viaggio missionario in Ecuador, piccolo paese sud americano che lo ha visto impegnato con la pastorale afro nella città di Guayaquil nel sud ovest del paese. La forte presenza di afro discendenti , soprattutto al nord, potrebbe stupire chi arriva qui ignaro della storia del paese. Storia che conosce le sofferenze e le discriminazioni razziali di un popolo, quello negro,da quando ha messo piede in queste terre.
Qualcuno ora potrebbe domandarci “Che cosa siamo andati a fare in Ecuador?” ma forse la domanda corretta è “Che cosa siamo andati a vedere, con chi siamo andati a stare in Ecuador?”.
Il primo incontro è stato quello con il Centro Cultural Afro di Guayaquil dove p. Enzo, fr. Abel e fr.Santiago, vivono e svolgono parte del loro lavoro. Il Centro Afro è un centro al servizio delle comunità Afro ecuatoriana, ma non solo, dove si tenta di rafforzare l'identità afro affinché ne siano riconosciuti i diritti al fine di promuovere la sua partecipazione piena nella società e per favorire un dialogo multietnico e culturale.
Qui conosciamo subito alcune tra le persone più coinvolte e impegnate per la causa negra. Qui, veniamo accolti come fratelli al ritmo poderoso dei tamburi e dei canti tipici della cultura afro. Fra tutti riconosciamo Karen e Carlos, impegnati da molto tempo qui e conosciuti un paio di anni fa nel loro viaggio in Italia.
Giusto qualche giorno per capire dove ci troviamo e poi ci dividiamo in due gruppi. Destinazione: i quartieri popolari La 25 e Las Malvinas. Quartieri alla periferia della città. Quartieri poveri, spesso abbandonati, dove è pericoloso muoversi da soli, quartieri dove viene sempre spontaneo guardarsi indietro per essere sicuri che non c'è nessun pericolo. È qui che iniziamo a capire che la spiritualità comboniana si fa missione nelle zone più povere del mondo. Si fa pietra nascosta. Qui la presenza della famiglia comboniana è il segno della presenza di Dio nelle situazioni più difficili. Qualcuno dirà che questa vita da missionari è una vita bella ma lungi dall'essere facile. Qui il missionario accoglie chi è diverso senza puntargli il dito. Vedere questi padri e questi fratelli lavorare qui ci riporta alla mente una frase di p. Enzo Balasso del centro Afro:
“ Missione è semplicemente voler bene alla gente”. A Las Malvinas incontriamo molti giovani con cui non faremo niente di particolare se non cercare di comunicare con loro in spagnolo e stare insieme giocando a calcio. E scopriamo poi che questo semplice stare assieme, questo “perder tempo” con loro, in realtà porta frutti di fraternità e amicizia. E che cosa vogliamo di più in questa manciata di settimane che trascorreremo qua? Mentre qui viviamo nella piccola casetta della comunità comboniana a fianco della chiesa Nuestra senora de la Salud a La 25 siamo ospiti dalla signora Judy dove conosciamo la figlia Kelly, una ragazza di trent'anni che ha scelto di essere missionaria nel suo barrio (quartiere), realizzando ad un certo punto della sua vita che qui i bambini passano molto tempo in strada, e la strada qui è pericolosa. Kelly sceglie di accogliere in casa sua ogni santo giorno, una sessantina di bambini affinché questi abbiano un posto dove poter studiare sicuri. E qui viene offerta loro anche una merenda.
Siamo a metà del nostro viaggio quando ci mettiamo in cammino per Santo Domingo, provincia del centro ovest del paese. Da qui raggiungiamo Valle Hermosa dove a luogo l'incontro nazionale giovanile di pastorale afro. Qui, per tre giorni si riuniscono tutti coloro che a livello nazionale sono impegnati nella pastorale afro. Circa un centinaio di giovani che si ritrovano per condividere la propria esperienza della vita di tutti i giorni. Giovani che cercano di fare rete per non sentirsi soli nelle avversità quotidiane. Giovani che hanno voglia di camminare in maniera bella e che vogliono farsi testimoni della bella notizia nelle loro terre.
Noi arriviamo un po' in punta di piedi, forse anche un po' timorosi nel dover passare tre giorni qui,
ma poi è tutta una sorpresa. L'accoglienza di questa gente continua a stupirci. Sono loro che ci stanno aiutando ad entrare pian piano in quello che sta succedendo. I canti e i balli afro sono un'esplosione di fede, energia, voglia di vita, divertimento. E anche qui ci rendono partecipi e sicuramente non fanno caso alle nostre movenze un po' impacciate se le confrontiamo alle loro visto che il ritmo, come dicono loro mostrandoci le vene, ce l'hanno nel sangue.
Lo slogan dell'incontro: Giovane afro la fede è in te, annunciala.
È in questi giorni che conosciamo l'abbraccio negro che ci chiama, durante il momento della pace nell'eucarestia, ad abbracciarci forte, a sentirci fratelli di un unico Dio, a volerci bene.
Ma questo abbraccio negro ci accompagnerà in ogni tappa del viaggio, perché sempre incontriamo qualcuno che vuole abbracciarci e vuole camminare un po' con noi.
È tempo del lontano nord, San Lorenzo, nella provincia di Esmeralda. Qui la presenza negra è più forte essendo stata la terra che dal principio ha accolto il popolo nero. Andiamo al nord a conoscere unì'altra esperienza comboniana. Una missione di frontiera essendoci qui il confine con la Colombia.
Qui conosciamo una comunità comboniana di missionari e missionarie che vivono nella stessa missione e che cercano di far famiglia. Qui conosciamo un'altra comunità che ci accoglie come fossimo uno di loro.
Ed è qui che incontriamo un grande amico. P. Daniele Zarantonello missionario comboniano nell'isola di Tumaco in Colombia. Essendo anche lui vicino al confine, in un paio di ore di canoa ci raggiunge per salutarci. Per noi giovani, dopo averlo conosciuto e amato a Padova nel suo lavoro con noi, è una grande gioia rivederlo. Ma è ancora più grande la gioia nel rivederlo sempre appassionato del Dio della vita e della missione che lo chiama a stare con gli ultimi della terra. P. Daniele ci racconta della difficile situazione colombiana dove gruppi armati e paramilitari seminano terrore e morte tra la gente semplice. E lui si fa segno di Dio in questa situazione difficile. E ad una qualsiasi domanda gli facciamo, lui risponde chela sua gente vive così e quindi anche lui può farlo.
Qui a San Lorenzo conosciamo l'esperienza del campo: molte comunità vivono in campagna o lungo gli argini dei fiumi che poi portano all'oceano Pacifico. E allora il lavoro dei missionari è anche quello di raggiungere questi posti. In auto, a piedi oppure in barca inoltrandosi tra le fitte foreste di mangrovie.
La natura qui è a farla da padrone e questa gente vive a contatto con essa. Come a San Javier dove il fiume è fonte di cibo e ristoro. Ma ora quel fiume è inquinato da delle miniere dove si estrae l'oro. E quando il fiume diventa un'arteria di fango, allora la gente non si avvicina più. E quanti esempi si potrebbero fare di inquinamento.
Anche qui conosciamo della gente semplice con cui condividere una giornata tra balli, canti, cibo e un giro per il paese. La presenza dei giovani è molto più forte di quella adulta.
Qui in Ecuador, come altrove in America Latina, la presenza di chiese Evangeliche è molto forte e la nostra chiesa è una tra le altre.
Riprendendo il nostro bus notturno che ci riporterà a Guayaquil, salutiamo i missionari che da fuori ci salutano finché, curva fatta, non li vediamo più. Ritorniamo gli ultimi giorni al centro afro dove tra incontri e saluti, il tempo vola. Fratel Alberto non ce lo di dice, ma ce ne accorgiamo da noi che qui la gente lo ama tantissimo. “ E' stato per me e per i miei figli come un amico e un padre in un momento difficile della mia vita” ci dice una donna con le lacrime agli occhi parlando nel nostro hermano Alberto.
E il giorno dopo è già tempo di rientrare in Italia. Ma le sorprese non finiscono. Avendo a Bogotà dodici ore di attesa per l'aereo, contattiamo la comunità presente in città che ci offrirà un buon piatto di pasta.
Così arriviamo al CIF (centro internazionale fratelli) dove i candidati fratelli studiano e ultimano la loro formazione. Qui fratel Marco ci fa da cicerone tra le vie della grande città.
Sera fatta rientriamo in aeroporto per poi raggiungere la nostra vecchia Europa e quindi l'Italia.
E allora cosa siamo andati a vedere in Ecuador? Dove abbiamo sentito la presenza del Signore? Questo viaggio ha portato alla luce alcune delle nostre fragilità? E i poveri? Dopo tutti i bei discorsi fatti e sentiti, come la mettiamo con i poveri? Chi è la famiglia comboniana?
È con queste e altre domande nel cuore che atterriamo all'aeroporto di Venezia. Domande che lavoreranno dentro di noi e a cui siamo chiamati a rispondere per poi rispondere a quella che forse è la domanda più importante di tutte: Dove mi sta chiamando Dio? Io adesso, cosa ne voglio fare della mia vita dopo questo campo missionario? Mi metterò in cammino e prenderò la mia vita tra le mie mani avendo il coraggio di scegliere qualcosa di bello seppur difficile?
Abbiamo conosciuto in Ecuador un'umanità povera, sfruttata, discriminata, messa ai margini. Ma questa umanità ha scelto di combattere la propria causa con forza e fede. È un'umanità che ci è di esempio. È un'umanità che ci chiama in campo perché immergendoci nel suo abbraccio negro e scoprendo gli occhi di Dio nel suo sguardo, questa umanità ci chiede di essere fratelli con cui camminare.
Riccardo