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I dono affidatomi mi rivela a me stesso

Articoli - 13 novembre 2011
Il Vangelo della domenica la riflessione di L. Manicardi
Il legame tra prima lettura e vangelo emerge se si considera che il testo di Proverbi non descrive solamente il tipo di donna che il sapiente, al termine del percorso di formazione e studio, delinea per i suoi allievi come moglie ideale, ma se si coglie quella figura femminile nella sua valenza simbolica per cui designa a un tempo la sapienza e il sapiente, ovvero, il dono e il frutto che tale dono suscita nell'uomo.
Il legame tra prima lettura e vangelo emerge se si considera che il testo di Proverbi non descrive solamente il tipo di donna che il sapiente, al termine del percorso di formazione e studio, delinea per i suoi allievi come moglie ideale, ma se si coglie quella figura femminile nella sua valenza simbolica per cui designa a un tempo la sapienza e il sapiente, ovvero, il dono e il frutto che tale dono suscita nell'uomo. Al cuore del ritratto della donna forte vi è la responsabilità. Responsabilità che si configura, tra l’altro, come affidabilità, vigilanza (cf. 31,27), generosità (cf. 31,20). E responsabilità è anche parola chiave per cogliere la differenza di comportamento tra i due tipi di servi nella parabola evangelica: il “servo buono e fedele” e il “servo malvagio e pigro” . La responsabilità cristiana è coscienza del dono ricevuto e fedeltà a esso. Anzi, più radicalmente, fedeltà al Donatore. Secondo Ireneo di Lione, il denaro affidato dal padrone ai suoi servi significa il dono della vita accordato da Dio agli uomini. Dono che è anche compito e che chiede di non essere sprecato o ignorato o disprezzato, ma accolto con gratitudine attiva e responsabile. Paolo scrive: “Che cosa hai che non hai ricevuto?” . Potremmo aggiungere che non solo ciò che abbiamo, ma anche ciò che siamo è dono di Dio. Noi siamo dono.
In questa luce vi è un aspetto del giudizio che incombe su chi non ha fatto fruttare i talenti ricevuti che non ha a che fare anzitutto con la prospettiva escatologica , ma già qui e ora con il rischio di sprecare la vita, di non viverla, di sciuparla “fino a farne una stucchevole estranea” (Constantinos Kavafis). Il rischio è quello di una vita insignificante, di una vita non vissuta.
L’idea essenziale che unifica i tre casi di servi che ricevono talenti in misura diversa è che in ogni caso, per ciascuno, all'origine vi è un dono che proviene da un altro, e che ciascuno riceve secondo la propria capacità. Si tratta dunque di un dono “personalizzato”. Il dono affidatomi mi rivela a me stesso. Entrare nella logica del paragone e magari nella recriminazione, distoglie l’uomo dall'unica attività veramente sensata: conoscere se stesso e conoscere Dio, il Donatore, riconoscendo e accogliendo i doni ricevuti.
È una finezza psicologica la sottolineatura che è il servo che ha nascosto il denaro per paura è quello che ha ricevuto meno degli altri. Questi fatica ad accettare la propria minore forza-capacità rispetto ad altri è maggiormente esposto al rischio di cadere nell'invidia e nel risentimento. L’adesione al principio-realtà, ovvero, l’accettazione della realtà così come si presenta, in noi e fuori di noi, è allora misura salvifica umanamente e spiritualmente.