Commento al Vangelo della domenica - XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Articoli - 4 ottobre 2020
Gesù amava le vigne: le ha raccontate, per sei volte, come parabole del regno; viha letto un simbolo forte e dolce (io sono la vite e voi i tralci, Gv 15,5); al Padre ha
dato nome e figura di vignaiolo (io sono la vite vera e il Padre è l'agricoltore, Gv 15,1).
Ma oggi il Vangelo racconta di una vendemmia di sangue. Una parabola dura, che
vorremmo non aver ascoltato, cupa, con personaggi cattivi, feroci quasi, e questo
perché la realtà attorno a Gesù si è fatta cattiva: sta parlando a chi prepara la sua
morte. L'orizzonte di amarezza e violenza verso cui cammina la parabola è già
evidente nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: Costui è l'erede, venite,
uccidiamolo e avremo noi l'eredità!
Ma quale manuale di diritto civile hanno mai letto? È chiaro che non è il diritto ad
ispirarli, ma quella forza primordiale e brutale, originaria e stupida, che in noi
sussurra: devi sopraffare l'altro, occupa il suo posto, e allora avrai il suo campo, la
sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Quanto è diverso Dio, che ricomincia, dopo ogni
tradimento, a mandare ancora servitori, altri profeti, infine suo Figlio; che non è mai
a corto di sorprese e di speranza: che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io
non abbia fatto?
Io, noi siamo vigna e delusione di Dio, e lui, contadino appassionato, continua a
fare per me ciò che nessuno farà mai. Fino alla svolta del racconto: alla fine, che cosa
farà il signore della vigna? La soluzione proposta dai capi del popolo è tragica:
uccidere ancora, far fuori i vignaioli disonesti, sistemare le cose mettendo in campo
un di più di violenza. Vendetta, morte, il fuoco dal cielo. Ma non succederà così.
Questo non è il volto, ma la maschera di Dio. Infatti Gesù introduce la novità propria
del Vangelo: la storia di amore e tradimenti tra uomo e Dio non si concluderà con un
fallimento, ma con una vigna viva e una ripartenza fiduciosa: Perciò io vi dico: il
regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Trovo in queste parole un grande conforto: sento che i miei dubbi, i miei peccati,
le mie sterilità non bloccano la storia di Dio; quel suo sogno di buon vino comunque
avanza, niente lo arresta. La vigna darà il suo frutto, perché c'è ancora chi saprà
difenderla e farla fruttificare. Ci sono, stanno sorgendo, nascono dovunque, e lui sa
vederli, vignaioli bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che servono
l'umanità anziché servirsene. I custodi della fecondità.
Nella vigna di Dio è il bene che revoca il male. La vendemmia di domani sarà più
importante del tradimento di ieri. I grappoli gonfi di succo e di sole riscatteranno
anche la sterilità di questi nostri inverni in ansia di luce.
Padre Ermes Ronchi