Chi è san Girolamo Emiliani - III parte
30 gennaio 2011
Da Milano Girolamo fa alcune puntate a Pavia e a Como, per fondarvi nuove opere di carità. Come già altrove anche in queste città coinvolge molte persone, sacerdoti e laici.
Poiché il numero dei collaboratori aumenta, Girolamo darà a questo gruppo un'organizzazione, scegliendo per loro il nome programmatico di "Servi dei Poveri". La nuova famiglia religiosa sarà approvata da papa Paolo III nel 1540; successivamente papa Pio IV la eleverà a Ordine Religioso, con il titolo di Chierici Regolari di Somasca o Padri Somaschi.
Girolamo arriva nella Valle di San Martino alla ricerca di un luogo per la sua Compagnia. Nei dintorni su un promontorio roccioso si eleva un vecchio castello abbandonato (che la leggenda indica come residenza dell'Innominato manzoniano) cui si apre un magnifico panorama sul lago. Poco al disotto del castello una spianata, "la Valletta", offre un posto adatto per ospitarvi gli orfani: qui il Miani apre una scuola di grammatica e una specie di seminario per la Compagnia ancora alle sue origini: vi si alterneranno lo studio, il lavoro agricolo e attività di rilegatura e tornio. Forse è allora che crea le sue giaculatorie che riassumono il fondamento della devozione religiosa: "Dolcissimo Gesù, non esser mio giudice, ma mio Salvatore!" "Signore, aiutami! Aiutami, Signore e sarò tuo!". Nel 1535 deve tornare a Venezia, richiamatovi dal suo confessore, perché le opere, sviluppatesi oltre misura, devono essere ristrutturate ed è necessario il suo consiglio. Ritornato poi in Lombardia, passa per Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo; rivisita le opere, i confratelli, i ragazzi, i collaboratori: Qualcuno lo ha chiamato "vagabondo di Dio". C'è chi pensa che gli si addica meglio "pellegrino della carità". A Pavia crea una nuova fondazione e a Brescia un capitolo della nascente Compagnia: bisogna riesaminare il funzionamento della vita nelle istituzioni, unificare i criteri, stabilire in concreto le condizioni che devono possedere gli aspiranti e il loro processo di formazione, concordare e fissare le basi della vita comune: « Non sanno che si sono offerti a Cristo, che stanno nella sua casa e mangiano del suo pane e si fanno chiamare Servi dei Poveri di Cristo? Come dunque vogliono compiere ciò che hanno promesso, senza carità né umiltà di cuore, senza sopportare il prossimo, senza cercare la salvezza del peccatore e pregare per lui, senza mortificazione…senza obbedienza e senza rispetto delle buone usanze stabilite?» Così egli stesso compendia nell'ultima sua lettera il cammino ascetico che devono percorrere i Servi dei Poveri. In quei giorni riceve da Roma una lettera del suo confessore, il cardinal Carafa che gli chiede di venire a fondare a Roma le stesse opere realizzate nell'Italia del nord. Un semplice laconico commento ai suoi fratelli: "Mi invitano allo stesso tempo a Roma e al cielo. Credo che me ne andrò a Cristo".
Poiché il numero dei collaboratori aumenta, Girolamo darà a questo gruppo un'organizzazione, scegliendo per loro il nome programmatico di "Servi dei Poveri". La nuova famiglia religiosa sarà approvata da papa Paolo III nel 1540; successivamente papa Pio IV la eleverà a Ordine Religioso, con il titolo di Chierici Regolari di Somasca o Padri Somaschi.
Girolamo arriva nella Valle di San Martino alla ricerca di un luogo per la sua Compagnia. Nei dintorni su un promontorio roccioso si eleva un vecchio castello abbandonato (che la leggenda indica come residenza dell'Innominato manzoniano) cui si apre un magnifico panorama sul lago. Poco al disotto del castello una spianata, "la Valletta", offre un posto adatto per ospitarvi gli orfani: qui il Miani apre una scuola di grammatica e una specie di seminario per la Compagnia ancora alle sue origini: vi si alterneranno lo studio, il lavoro agricolo e attività di rilegatura e tornio. Forse è allora che crea le sue giaculatorie che riassumono il fondamento della devozione religiosa: "Dolcissimo Gesù, non esser mio giudice, ma mio Salvatore!" "Signore, aiutami! Aiutami, Signore e sarò tuo!". Nel 1535 deve tornare a Venezia, richiamatovi dal suo confessore, perché le opere, sviluppatesi oltre misura, devono essere ristrutturate ed è necessario il suo consiglio. Ritornato poi in Lombardia, passa per Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo; rivisita le opere, i confratelli, i ragazzi, i collaboratori: Qualcuno lo ha chiamato "vagabondo di Dio". C'è chi pensa che gli si addica meglio "pellegrino della carità". A Pavia crea una nuova fondazione e a Brescia un capitolo della nascente Compagnia: bisogna riesaminare il funzionamento della vita nelle istituzioni, unificare i criteri, stabilire in concreto le condizioni che devono possedere gli aspiranti e il loro processo di formazione, concordare e fissare le basi della vita comune: « Non sanno che si sono offerti a Cristo, che stanno nella sua casa e mangiano del suo pane e si fanno chiamare Servi dei Poveri di Cristo? Come dunque vogliono compiere ciò che hanno promesso, senza carità né umiltà di cuore, senza sopportare il prossimo, senza cercare la salvezza del peccatore e pregare per lui, senza mortificazione…senza obbedienza e senza rispetto delle buone usanze stabilite?» Così egli stesso compendia nell'ultima sua lettera il cammino ascetico che devono percorrere i Servi dei Poveri. In quei giorni riceve da Roma una lettera del suo confessore, il cardinal Carafa che gli chiede di venire a fondare a Roma le stesse opere realizzate nell'Italia del nord. Un semplice laconico commento ai suoi fratelli: "Mi invitano allo stesso tempo a Roma e al cielo. Credo che me ne andrò a Cristo".